Quando arriva ad Arquà, Francesco Petrarca è un uomo vecchio e stanco. È il 1370. Nato ad Arezzo 66 anni prima, aveva passato la vita muovendosi tra Avignone, Milano, Roma, Venezia.
L’amico ed estimatore Francesco il Vecchio da Carrara, signore di Padova, gli ha donato una casa che Francesco ha fatto restaurare adeguandola alle sue esigenze, seguendo personalmente i lavori, realizzando una parte per sé e la sua famiglia (figlia, genero e nipotina) e una parte, con l’ingresso principale, per la servitù. Sul davanti un piccolo giardino.
Affacciandosi dalle finestre del secondo piano, il suo sguardo spazia dai dolci declivi alle cime coniche dei Colli Euganei. Ammirando quel panorama desiderava che la sua gloria di poeta diventasse immortale. Non avrebbe forse osato immaginare che nel 1868 il suo nome sarebbe stato per sempre affiancato a quello dell’antica Arquata di epoca romana, facendolo diventare Arquà Petrarca.
Quei Colli Euganei, che da lontano disegnano all’orizzonte un profilo azzurro-grigio e avvicinandosi diventano di un verde intenso alternato, a seconda delle stagioni, ai gialli e rossi di campi e vigneti, Petrarca non li nomina nelle sue opere, ma molte parti soprattutto del Canzoniere fanno capire che l’atmosfera di questi luoghi lo ha segnato.
Sarà proprio nella casa di Arquà che Petrarca sistemerà i suoi sonetti seduto nello studiolo: la seggiola e l’armadio-libreria che si vedono oggi pare siano proprio i suoi. Girando tra le stanze, alcune affrescate nel Cinquecento con le storie del suo amore per Laura, si potrà immaginare la sua bianca gatta che lo difendeva dai topi e che una simpatica iscrizione definisce il suo più grande amore, dopo Laura ovviamente. E poco importa se quella della gattina è forse un’operazione di marketing turistico ante-litteram, un’invenzione dei posteri per attrarre i visitatori.
Camminare oggi tra le vie del paese fa ripercorrere i passi del poeta che amava chiacchierare con i “villici” lungo le vie del borgo. Lo sguardo si muove tra il grigio e il giallo ambrato delle pietre delle case e la pianura che spunta ogni tanto tra i colli, in un continuo cambio di prospettiva, ripercorrendo col poeta quel suo animo che era un labirinto di sentimenti: la modestia conviveva con l’aspirazione alla gloria, l’amore terreno per Laura conviveva con l’amore spirituale per il Creatore.
Fisico agile e occhi vivaci: Francesco, figlio di Ser Petracco, notaio fiorentino al servizio della corte papale ad Avignone, sogna di diventare poeta, cerca il successo e lo ottiene. Un successo che supera i secoli. Quando Pietro Bembo, nel Cinquecento, lo definisce esempio di eccellenza stilistica, le famiglie aristocratiche padovane e veneziane iniziano a costruire palazzi di villeggiatura nel borgo abitato da Petrarca, attirati dalla fama del poeta, dalla bellezza del luogo ma anche dalla nuova moda del petrarchismo.
Così agli edifici di decisa impronta medievale si affiancano dimore con eleganti trifore e architettura che richiama Venezia. E la fama continua. Poeti come Shelley e Byron nell’Ottocento visitano la casa, firmano il libro degli ospiti e raccontano nelle loro opere la bellezza del borgo e dei Colli Euganei.
Nasce così un altro fenomeno, una specie di pellegrinaggio: si partiva da tutta Europa per andare a visitare i luoghi in cui era vissuto il sommo poeta. Tanti sono stati poeti e scrittori che nel tempo hanno subito il fascino del borgo medievale e della natura dei colli: per ripercorrere i loro scritti basta mettersi alla ricerca delle targhe del “Parco Letterario Francesco Petrarca e dei Colli Euganei” scoprendo luoghi, colori, sapori, profumi, antichi edifici cantati da scrittori a partire da Claudiano nel IV secolo fino a Foscolo e Dino Buzzati.
Petrarca negli ultimi anni di vita è stanco, ma lettura e scrittura continuano a dargli gioia e spesso da casa si sposta verso l’Oratorio della Santissima Trinità, poco distante, con una copia delle Confessioni di Sant’Agostino sotto braccio. A volte si spinge più lontano, per qualche escursione tra i colli. Del resto aveva già fatto l’ascesa al Monte Ventoso in Provenza nel 1336, vista da molti come l’inizio dell’escursionismo o addirittura dell’alpinismo.
Sulla stradina che porta dalla casa del poeta a Piazzetta San Marco, un artista contemporaneo ha raffigurato un grande cuore: forse ennesimo omaggio al poeta il cui intento, tra gli altri, era quello di far dimenticare le sofferenze amorose con la sua poesia. La piazzetta è nella parte alta del borgo dove troneggia una bianca colonna con il leone alato della Serenissima.
Un ampio arco porta alla Loggia dei Vicari sotto la quale i capifamiglia discutevano dell’amministrazione cittadina, incontri a cui probabilmente partecipava anche Petrarca. Scendendo verso la parte bassa del borgo, si cammina lungo stradine medievali, incontrando il trecentesco Ospedale della Madonna con un affresco con crocifissione sulla parete, giardini dove troneggiano grandi piante di giuggiole, botteghe di prodotti tipici.
In Piazza Petrarca si legge bene l’impianto medievale, con un’insegna in ferro che segnala una vecchia osteria e una pianta di fico che la avvolge in un angolo. Da piazza Petrarca lungo la strada per Monselice, un’iscrizione latina invita il visitatore ad onorare l’acqua che sgorga da una fontana alla quale pare bevesse anche Petrarca.
I colori dei Colli, i grilli serali, le cicale estive, le nebbie invernali: quello che caratterizza oggi Arquà Petrarca ha accompagnato gli ultimi anni della vita del poeta che, lavorando ad un sonetto, muore il 19 luglio del 1374, un giorno prima del suo settantesimo compleanno.
Per sua volontà testamentaria, Petrarca viene sepolto nella pieve del paese, Santa Maria Assunta. Nel 1380 il genero fa costruire una tomba che ancora oggi si trova nel sagrato della chiesa: un sarcofago in marmo rosso di Verona e trachite Euganea. Una sepoltura che nemmeno Napoleone, quando sposta il cimitero dal sagrato, ha il coraggio di toccare.
Ma Francesco non ha sempre riposato in pace. Attorno alle sue spoglie ci sono una serie di vicende e misteri. Nel 1630 frate Tommaso Martinelli pratica un foro in un angolo dell’arca con l’intento di trafugare la mano dell’autore del Canzoniere e ruba l’avambraccio destro. Il frate dopo poco viene fermato ma del braccio si sono perse le tracce.
Nel 1873 Giovanni Canestrini, docente di anatomia di Padova, incaricato di eseguire una ricognizione sulle spoglie del poeta fa ridurre in frantumi il cranio, non si sa bene come. Assicurati tutti che il prezioso cranio era stato risistemato, nessuno si preoccupa più dei resti del poeta fino all’ultima guerra quando, dal 1943 al 1946, le preziose spoglie vengono messe al sicuro nei sotterranei di Palazzo Ducale a Venezia.
Tornato alla sua amata Arquà, Petrarca viene nuovamente disturbato nel 2004 quando una nuova ricognizione fa scoprire che le ossa del cranio non solo non sono sue, ma appartengono a una donna del Duecento. Come ci sia arrivato e di chi sia quel cranio, rimane un altro mistero irrisolto.
Nonostante tante vicissitudini, il poeta riposa in un borgo dall’atmosfera rimasta intatta, tanto che Arquà Petrarca, borgo fuori dal tempo, è annoverato tra i Borghi più belli d’Italia.
INFO
www.galpatavino.it – www.collieuganei.it #daicollialladige: calendario di visite guidate gratuite, tra cui passeggiate nei borghi
https://www.collieuganei.it/comuni/arqua-petrarca/
https://www.arquapetrarca.com/
http://www.parcopetrarca.com/
Testo: Eva Vallarin
Foto: Eva Vallarin, Vittorio Galuppo, Matteo Danesin
Articoli corrrelati