Le autorità lo hanno dedicato ad Ayrton Senna. Gli abitanti lo chiamano con vari nomignoli: stadio dei due emisferi, stadio del centro del mondo, ma per tutti è lo Zerão. Il grande zero. La capienza massima è di 5.000 spettatori, anche se le autorità giurano che il giorno dell’inaugurazione ce n’erano più di 10.000 a veder giocare Zico e la rappresentativa dei migliori giocatori della nazionale verde oro contro la squadra locale. Al lancio della monetina l’arbitro domanda ai capitani delle squadre: “Palla o emisfero?”. Dopo l’inaugurazione la ditta che faceva i lavori si fermò di colpo. I soldi erano finiti. Le promesse, della costruzione delle tribune del lato corto, non sono mai state onorate. E’ uno stadio monco. Restano solo i piloni di cemento abbandonati alla furia del Rio delle Amazzoni che esonda spesso allagando lo Zerão. Restano le tribune laterali dipinte di un giallo smagliante. Il tetto è volato via durante una giornata di vento. Più che uno stadio somiglia a una reliquia che gli abitanti di Macapà custodiscono con devozione. Dalle tribune lo sguardo si perde oltre l’Amazzonia, in quel verde cangiante della foresta pluviale. Le 12 squadre della città, si dividono il terreno di gioco nel campionato dello stato dell’Amapà. Un numero esorbitante di società professionistiche, circa una ogni 37mila abitanti.
Gli abitanti di Macapà sono fieri del loro stadio, ma ai loro occhi quella linea equatoriale che da immaginaria diventa visibile, ben marcata sul terreno dal gesso bianco che disegna il campo di calcio, non è solo un gioco che divide l’emisfero australe da quello boreale. E’ la linea che divide il nord dal sud del mondo, l’America dal SudAmerica, la ricchezza dalla povertà. Dove, per un capriccio della latitudine, per un paradosso ai limiti dell’assurdo, la parte più ricca di natura, risorse, foresta, è quella meno sviluppata dell’emisfero. Come se il continente fosse capovolto, messo a testa in giù. “Palla o emisfero?”, chiede dunque l’arbitro prima di una partita. Lo Zerão racchiude in sé tutta l’essenza di questo stato e della sua capitale. Forse del Brasile intero. Il suffisso accrescitivo “-ão” che in italiano equivarrebbe a dire “-one” ben si sposa con il niente. Forse, solo in questa città, che sorge nel nulla e che si nasconde ai depliant patinati delle mete turistiche, poteva essere costruito uno stadio come questo. Un grande stadio. Uno stadio “zero”.