Petra, meraviglia direttamente dall’antichità

Arancio, beige, salmone, ocra: a volte le sfumature sono nette, altre volte si mescolano tra loro. Le rocce sono così intense a Petra, che gli antichi chiamavano la città, oggi in Giordania, la variopinta.

Per noi Petra resta un prodigio della natura e dei secoli, mischiato all’abilità dell’uomo nel scavare l’arenaria per creare rifugio ospitale e un luogo dedicato all’eternità. Un sito che lascia sorpresi per la meraviglia,
soprattutto alla fine del Siq, il lungo canyon che l’attraversa, dove le rocce sembrano fare da quinte scenografiche e far apparire piano piano, quasi fosse un effetto speciale, il Tesoro, il principale monumento.

A Petra, non a caso, ci si sente un po’ Indiana Jones, tra la polvere, le pietre, i resti archeologici, i colori, ma anche perché qui fu girato “L’ultima crociata”, il terzo episodio della sagra: memorabile la scena finale con Harrison Ford e Sean Connery sui cavalli che risalgono il canyon al galoppo fino a fondersi con un tramonto da fiaba.

Tutta Petra è un mondo da favola, proveniente dall’antichità e per questo, dati anche i pochissimi documenti storici ritrovati sui Nabatei, il popolo che la costruì, avvolta dai misteri. Ancora oggi gli archeologi cercano di capire come vivevano e i loro culti, gli scavi proseguono senza sosta, anche se i principali monumenti sono a disposizione dell’incredulità del turista.

Petra sorge in una gola della Giordania che si apre su una vallata ed è circondata da montagne, la stessa valle Wadi Musa legata alla Bibbia dove Mosè, toccando una roccia con il bastone, fece scorrere l’acqua. E proprio all’inizio del percorso esiste un edificio che viene designato come l’antica sorgente fatta emergere da Mosè.

Tra leggende e storia, Petra è oggi circondata da una cittadina votata al turismo, con le immancabili bancarelle, hotel e ristoranti.

Ma appena si imbocca la discesa che porta al Siq, costellata da abitazioni e caverne del popolo nabateo,
ancora ricche di ipotesi perché qualcuno le vuole cisterne d’acqua, altri tombe, alcuni torrette di avvistamento per i nemici, si viene avvolti da questa atmosfera di mistero, silenzio, reverenza.

I Nabatei erano un popolo di nomadi del Sud della Penisola Arabica, intorno al IV secolo a.C si stabilirono qui,
erano commercianti e la loro città, dotata di una posizione geografica invidiabile, divenne un centro importantissimo della via carovaniera che portava da Sud a Nord.

Per questo, entrano in contatto con le altre civiltà dell’epoca e i loro monumenti subirono l’influenza ellenistica, assira, egizia, siriana e più tardi romana. Erano politeisti e i loro due Dei maggiori erano una sorta di Osiride e Iside, padre e madre di tutto. A loro pare siano dedicati tutti i templi della zona.

Petra era una città rigogliosa, piena di fontane, palazzi, teatri, ci abitavano circa 20 mila persone nel periodo di massima esplosione, intorno al I secolo a.C.

Quando fu conquistata dai Romani di Traiano divenne una delle tante colonie, mentre le carovane di mercanti
si spostavano in altri circuiti, perse importanza e iniziò il declino. Con il Cristianesimo divenne sede vescovile e alcuni templi furono trasformati in chiese, ma questo non servì.

Piano piano cadde nell’oblio fino al 22 agosto del 1812 quando un esploratore svizzero, Johann Ludwig Burkhardt, cominciò a esaminarla. Gli scavi archeologici, però, iniziarono solo con un po’ di ritardo, intorno al 1990, e continuano ancora oggi: da poco sono state annunciate nuove campagne per completare il lavoro archeologico del 2003 che ha portato alla luce alcune tombe e facciate antistanti il Tesoro.
Però i beduini hanno sempre abitato a Petra e pensavano a che custodisse una grande fortuna.

Vivono tuttora nel sito, ormai votati al Dio turismo, pronti a vendere qualsiasi souvenir al visitatore, a farlo salire su dromedari e asini o sui calessi per accompagnarlo nell’escursione o almeno scattare una foto.

A Petra si inizia il tour proprio dal Siq, il famoso e spettacolare percorso tra le rocce. A volte si restringe, a volte si apre in piccole piazzette dove un tempo ci dovevano essere le dogane, è attraversato dalla canalizzazione che serviva per l’acqua e le fontane, una parte il sentiero è lastricato come una volta e stupisce per lo spettacolo dei colori cangianti delle rocce ai lati: rosa, rosso, giallo, salmone, albicocca, arancione, ocra sono alcune delle tinte vedibili.

Era anche una via sacra, percorsa dai sacerdoti nei momenti dei rituali religiosi.
E questo spirito mistico rimane, soprattutto se si sceglie di tornare di notte, per lo straordinario spettacolo di suoni e luci, dove lungo il Siq si cammina con fioche fiammelle.

In qualsiasi ora, però, l’effetto speciale del sipario roccioso che lascia intravedere uno spiraglio del Tempio del Tesoro è mozzafiato.

Maestoso e imponente, è stato al centro delle leggende beduine che volevano nell’urna posta sul tempietto al suo apice, custodito un enorme tesoro di un fantomatico faraone, per questo in arabo è chiamato Khazne Faraun, Tempio del Faraone. Invece, pare fosse una tomba, in particolare quella della moglie di un re nabateo del I secolo d.C.

È solo l’esempio più famoso di come gli antichi costruttori di Petra si dedicarono alle meraviglie scolpendo templi, palazzi e tombe nella viva roccia di arenaria. Un “lavoro pietrificato” fatto di scalpelli e improvvisati ponteggi sui detriti, che ha subito l’erosione dei secoli e moltissimi terremoti hanno distrutto statue, colonne, archi e mura.

Questa è zona sismica e i bravi architetti antichi misero dei tasselli di legno di ginepro tra le costruzioni, una misura utile per contrastare la forza distruttiva della natura.

Alle spalle del Tesoro, comincia la via delle facciate, una lunghissima e assolata strada costeggiata da innumerevoli meraviglie: tombe enormi, il teatro che ospitava tremila spettatori, quelli che un tempo erano palazzi signorili. Si attraversa un colonnato dove i Nabatei avevano le loro botteghe e i loro pronipoti di oggi hanno allestito bancarelle e punti di ristoro per i viandanti odierni.

Il tutto finisce dove c ‘erano alcuni archi che segnavano la zona commerciale da quella sacra, con gli altari dei sacrifici.

Intorno le montagne che si possono scalare, anche se i sentieri sono ripidi e non certo comodi, per andare a vedere le costruzioni poste in cima, come il Monastero, chiamato così perché in epoca cristiana vi furono erette delle croci, uno degli altri simboli di Petra, questa città magica e unica, arrivata ai noi direttamente dall’antichità.

Info: www.visitjordan.com

Foto Sonia Anselmo, Pixabay

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