Il verde è accecante nel pomeriggio primaverile mentre gli antichi Dei e personaggi mitologici sembrano sussurrare al ritmo del fragore della cascata. Il Parco di Villa Gregoriana a Tivoli ha qualcosa di mistico, ancestrale,
un fascino ultraterreno, primordiale.
Non stupisce che tutti i viaggiatori del Grand Tour di fine Settecento e Ottocento, i neo classicisti e i romantici
per eccellenza, ne avessero fatto una tappa d’obbligo nei loro giri per l’Italia. Erano attirati da questa unica unione dei loro tre temi preferiti, la mitologia, la storia e la natura.
“In questi giorni sono stato a Tivoli ed ho veduto uno dei primi spettacoli della natura. Le cascate, con le rovine ed il complesso del paesaggio appartengono a quegli oggetti la conoscenza dei quali ci rende più ricchi nel profondo del nostro io”, scrisse Goethe. Persino la fantasia di Hans Christian Andersen, lo scrittore danese delle favole, venne catturata da quella che chiamavano la “valle dell’Inferno”.
Nei racconti i visitatori del Grand Tour descrivono come si calarono con funi nella gola dell’Aniene, una ripida discesa con la cascata fragorosa e lo scorrere possente e vorticoso delle acque del fiume, colti spesso da temporali o vento, pur di vedere la bellezza del parco e i ruderi romani. Quasi un simbolo per i romantici, il tempio di Vesta è stato immortalato in moltissimo quadri, le foto dell’epoca, mentre in svariate città, come Londra, ci sono sue repliche.
L’antica Tibur, Tivoli, cresciuta sulla sponda dell’Aniene e su un sentiero creato dai pastori abruzzesi che con la
transumanza portavano le loro greggi sull’Agro laziale, era costruita su uno sperone di roccia a picco sul fiume: un po’ per controllare la zona, un po’ per ingraziarsi le divinità i Romani ci edificarono l’acropoli.
Qui il tempo e la natura non sono clementi, anche oggi che il Parco è sicuro, il vento sferza intorno alle colonne dei templi e tra le foglie delle piante, creando mulinelli di terra. Tutto però collassò il 16 novembre 1826 quando Tivoli fu sommersa dalle acque straripanti del fiume, complice la pioggia torrenziale. Da quel momento, lo Stato Pontificio, padrone dei luoghi, bandì un concorso per ingegneri e architetti per trovare una soluzione e imbrigliare l’Aniene.
Ma fu soltanto nel 1857 che papa Gregorio XVI mise in sicurezza la zona, fece piantare sempreverdi, fece ideare una serie di sentieri e la cascata artificiale, al punto che la villa e il parco presero per sempre il suo nome.
L’inaugurazione fu qualcosa di sontuoso, che ancora si ricorda, con il Papa seduto su un trono d’oro a distanza, dove oggi sorge una palazzina gialla, per paura degli schizzi, con la cascata attivata ad un suo solenne gesto che, visto che il pontefice era troppo lontano dalla folla, venne sottolineato da botti e spari d’artiglieria. Tutto al cospetto di re, nobili, potenti. Del resto, qui nei secoli ci sono passati tutti, come evidenziato nelle targhe di marmo all’ingresso.
Inoltre, la cascata, 120 metri di salto, seconda in Italia solo a quella delle Marmore, ha un primato: fu usata per la prima volta al mondo per fornire energia con le turbine per l’illuminazione cittadina e nel 1892 serviva un’ampia zona fino a Porta Pia a Roma.
Poi i bombardamenti della Seconda Guerra Mondiale, l’incuria, il tempo e le manchevolezze moderne trasformarono Villa Gregoriana in discarica. E’ stato il Fai a riorganizzarla, a pulirla, a tagliare le piante troppo cresciute e a tenere sotto controllo la vegetazione, con l’aiuto di giardinieri free climbing data l’asperità del luogo, e ad aprirla al pubblico nel 2005.
Oggi il Parco di villa Gregoriana è uno dei gioielli di Tivoli, come la romana villa Adriana e la rinascimentale villa d’Este, e si può visitare da marzo ad ottobre, tutti i giorni tranne il lunedì. Anche gli hotel della zona, come il Green Park Madama, organizzano pacchetti per gli ospiti con visite guidate.
Una volta varcato l’arco di ingresso si viene subito catturati dalla maestosità del luogo, dai panorami verdi cupo, dall’aleggiare degli antichi miti. Nel fitto bosco sembrano ancora sussurrare i fondatori della città: Tiburto, un esule greco giunto nel Lazio con suo padre Catillo e i suoi due fratelli, che fondò il primo abitato, e Ercole, nume tutelare.
Oltre a loro, ci sarebbe lo spirito del re etrusco Anio, arrivato a cavallo dalla sua terra natia nel tentativo di salvare la figlia Salea rapita da Catillo, ma morto tragicamente nelle acque del fiume che oggi porta il suo nome. E poi anche la Sibilla Tiburtina, la divinità nascosta tra le grotte del fiume, capace di dare responsi e oracoli.
Tutto questo, insieme alla storia e alla natura tumultuosa, era una sirena incredibile per i romantici
dell’Ottocento che facevano di Tivoli una tappa obbligata del Grand Tour. La chiamavano Valle dell’Inferno, con la roccia calcarea molto porosa e friabile, facilmente modellabile dalle frenetiche acque dell’Aniene.
Già Plinio Il Giovane racconta nel 105 d.C una rovinosa piena del fiume, che spazzò via tutto, compresa la villa di Manlio Volpisco, l’oratore che si era fatto costruire una dimora sul lato opposto rispetto all’acropoli.
Proprio da quello che rimane delle sua casa oggi si entra nel Parco Villa Gregoriana, tra qualche statua romana, targhe commemorative e paesaggi modellati dalla natura vorticosa.
Grazie a Gregorio XVI però è tutto molto semplice, i sentieri sono facili, si arriva tranquillamente ad ammirare
sul bordo la fragorosa cascata, che funziona solo quando la villa è aperta ai visitatori. Da qui si vedono i
Cunicoli Gregoriani, due canali artificiali lunghi poco meno di trecento metri che convogliano la potenza
del fiume nella nuova Cascata Grande, creati dall’ingegnere Clemente Folchi, chiamato dal Papa a mettere in sicuro
l’abitato e a rendere meno pericolosa la bellezza del luogo.
Tra alberi altissimi e fiori primaverili, si scende verso la forra, non più con le funi come fecero Goethe o Andersen, ma con comodi tracciati intercalati da belvedere panoramici, e si arriva alla caverne erose dal fiume, la Grotta di Nettuno e a quella delle Sirene, abitata dalla Sibilla.
La salita è sempre pratica e porta a ciò che resta dell’antica acropoli di Tivoli: il tempio di Tiburno, detto anche della Sibilla, che fu trasformato in chiesa nel Medioevo, e quello famosissimo, circolare, di Vesta, proprio a picco sulla gola, con le sue dieci colonne delle diciotto originarie, entrambi risalenti al I secolo a.C.
Per chi non se la sentisse di affrontare la discesa e poi la salita, può ammirare il parco e le sue bellissime vedute anche dai templi, dove si trovano anche un book shop e la caffetteria: si attraversa il Ponte Gregoriano, che a stento sembra contenere la furia del fiume, e alcuni vicoli della Tivoli antica. Arrivati al cospetto del panorama, con il vento che infuria e la luce del tardo pomeriggio che rende più cupo il verde, non si può non pensare agli spiriti dell’antichità e alla solennità della natura, un po’ come i viaggiatori del Grand Tour, ammaliati dalla forza e della potenza dell’Aniene e del suo Parco Villa Gregoriana.
Info: http://www.villagregoriana.eu/
www.fondoambiente.it
faigregoriana@fondambiente.it
Foto di Sonia Anselmo e FAI
In collaborazione con www.greenparkmadama.it