Il rumore dei campanacci rompe il silenzio della folla, sempre più vicino,
fino a quando arrivano i Mamuthones e gli Issohadores. E’ l’inizio del carnevale di Mamoiada, borgo della Barbagia, a poca distanza dal massiccio del Gennargentu e dal Supramonte di Orgosolo.
Una delle feste folkloristiche più amate della Sardegna, in realtà, comincia
con la festa di Sant’Antonio Abate, tra il 16 e il 17 gennaio, e continua per settimane fino alla domenica di carnevale e al martedì grasso, attirando molti spettatori e visitatori da tutta l’isola.
Diversamente da altre feste di questo periodo in altre città, il carnevale di Mamoida non ha sfilate e carri allegorici. Punta tutto su una tradizione ancestrale, le cui origini sono ancora misteriose. Secondo alcuni
studiosi, il rito risalirebbe all’età nuragica e sarebbe stato un modo per venerare gli animali, proteggersi dagli spiriti maligni e propiziare il raccolto.
Quale sia la sua origine, il carnevale di Mamoida resta un suggestivo e arcaico
spettacolo che si ripete ogni anno tra le strade del borgo sardo e viene conosciuto anche come “la danza dei Mamuthones”.
Questi personaggi sono vestiti di pelli ovine, indossano una maschera nera, realizzata dagli artigiani del borgo, di legno d’ontano o pero selvatico con un’espressione impassibile oppure sofferente. Sulla schiena portano “sa carriga”, una serie di campanacci che pesano circa trenta chili, legati con cinghie di cuoio, completati da altre campanelle più piccole legate al collo delle maschere.
I campanacci, così tipici per il carnevale di Mamoida, fino a qualche tempo fa venivano ceduti dai pastori che li prendevano direttamente dagli animali. Oggi sono creati appositamente da artigiani di Tonara, un centro sempre in Barbagia, insieme ai batacchi costruiti con le ossa del femore di pecore, capre o asini.
Un rito nel rito del carnevale di Mamoida è la vestizione dei Mamuthones,
che viene fatta da due persone.
Gli altri personaggi della festa sono gli Issohadores, che hanno una mise meno complicata: camicia di lino, giubba rossa, calzoni bianchi, uno scialle, mentre sul viso portano una maschera antropomorfa bianca e a tracolla sonagli d’ottone e bronzo.
Insieme, danno vita una sfilata, quasi una cerimonia solenne, come fosse
una processione. I Mamuthones sfilano in gruppi di dodici, rappresentando i mesi dell’anno, con gli Isshoadores, in gruppi da otto. Entrambi danzano con passi molti difficili, che i partecipanti al carnevale di Mamoida imparano sin da bambini.
I Mamuthones, carichi del peso dei campanacci, si muovono lentamente in due
file parallele con il ritmo scandito dagli Issohadores, che danno un colpo alla schiena per scuotere e far suonare tutte le campanelle.
Gli Issohadores sono più agili, ma all’improvviso lanciano la fune per catturare qualcuno del pubblico: i prigionieri per liberarsi dovranno offrire loro da bere, prevalentemente vino.
Tutti gli abitanti e i visitatori del carnevale di Mamoida vengono coinvolti
nei festeggiamenti, molti indossano maschere e costumi tradizionali, mentre
la piazza Santa Croce diventa un palcoscenico naturale per un ballo
coinvolgente che si quieta solo al passaggio dei Mamuthones e degli Issohadoras.
In quel momento il silenzio irreale lascia il posto al suono dei campanacci.
L’ultimo giorno del carnevale di Mamoida, il martedì grasso, poi, c’è una processione della maschera di Juvanne Martis Sero, un fantoccio con testa di legno con un grosso imbuto, riempito di paglia e portato in giro per le vie del paese su un carretto tirato da un asino e addobbato con rami, fiori e frutta.
Intorno a lui, un gruppo di uomini con uno scialle nero e il viso dipinto dal sughero bruciato, che intonano strani lamenti piangendo sconsolatamente la morte di Juvanne.
In realtà, sono frasi allegoriche e ironiche e gli uomini cercano disperatamente
vino da dare a Juvane, finché portano il fantoccio in piazza Santa Croce. Al tramonto, qui, tentano l’ultima volta di salvargli la vita. Un medico fa una specie di intervento su Juvane per estrarre le budella, che sono di maiale e sistemate all’interno del pupazzo.
Ma per lui non c’è più nulla da fare, muore e segna la fine del carnevale di Mamoida fino all’anno successivo quando il fantoccio sarà riportato in vita. Un
rito eterno sulla vita, la morte e la rinascita.
Il carnevale di Mamoida è anche un momento di convivialità e i dolci tipici e il vino cannonau vengono offerti al pubblico. Il vino, prodotto nella zona, è
importante anche in altri riti, come quelle della Settimana Santa, e delle feste
per la vendemmia che animano il paese della Barbagia.
Qui si è a contatto con la tradizione più autentica, con il lato della Sardegna
più antico, intrecciato con sapori, profumi, suoni e colori della terra. A Mamoida, oltre al carnevale e alle altre manifestazioni, ci sono speciali percorsi da trekking per scoprire la natura circostante, oltre a visite guidate e degustazioni nelle cantine.
Info:
www.sardegnaturismo.it/
www.barbaricina.it
www.sardegnacultura.it/
Foto dreamstime.com
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