Il Libano non è solo porti e mare, è nel suo entroterra fertile che trova quello che si può considerare un santuario green della civiltà fenicia dedicato al simbolo e fondamento del Paese.
Il cedro è il centro della bandiera libanese. Questi maestosi alberi sono stati l’incipit della fortuna dei Fenici. Il legname era molto apprezzato per costruzione delle navi e nell’edilizia, anche Re Salomone volle il cedro per erigere il suo tempio, le cedrina veniva utilizzata dagli egizi per l’imbalsamazione.
Ci fu un tempo in cui questi imponenti alberi ricoprivano spazi immensi, il loro sfruttamento intensivo iniziò fin dal III Millennio a.C., già l’imperatore Adriano nel II secolo tentò di proteggerli. Oggi alcune riserve sono state istituite per garantire la tutela dei verdi giganti. El Shouf Cedar Nature è la maggiore riserva naturale del Libano, ha un’estensione pari al 5% del territorio nazionale e al suo interno si trovano i cedri più longevi, alcuni esemplari hanno una veneranda età, stimata, di 2000 anni.
Attraverso il parco molti sentieri portano alla scoperta di paesaggi mediterranei e montani. Nel Bouruk le vette sono ancora innevate a fine marzo e l’aria è quasi tiepida, le pigne di cedro mostrano i germogli che sanno frastornare la testa con il loro profumo. I cedri pur essendo maestosi, sono accoglienti, un nascondiglio sicuro per l’angolo dei sogni, una casetta tra i rami. Se potessimo collocare il tempio di Salomone al termine di un viale temporale bordato dai cedri, circa 40 ci separerebbero dal suo cospetto.
Il calcolo è veloce, un cedro compie la prima fioritura tra i 45/50 anni, le pigne impiegano tre anni per portare a maturazione il seme, dal quale potrà crescere un nuovo albero.
Al punto di accesso del Parco si trova il negozio dei prodotti locali. In particolare le donne sono coinvolte nella raccolta delle erbe spontanee, nell’elaborazione e confezionamento. (http://shoufcedar.org)
Scendendo dal Bouruk si arriva nella fertile valle della Beqaa, raccolta tra le due catene montuose Libano e Antilibano, dove si trova una perla di straordinaria bellezza, Baalbek.
Il sito di Baalbek è bene UNESCO dal 1984, è l’area archeologica romana più ampia del Medio Oriente. La magnificenza è traboccante. Si sale per una scalinata, i propilei di accesso al’esedra, solo una volta in cima si apre l’imponenza dell’area cultuale. Per oltre 4000 anni, riti, sacrifici oracoli e preghiere si sono susseguite in quest’area, dai Fenici, chiesa bizantina e moschea.
I Romani del II secolo d.C. dedicarono l’area al culto della triade Giove, Venere e Mercurio, probabilmente assimilando così culti precedenti. Come usava, i Romani nella costruzione riutilizzarono materiali già esistenti; anche i Greci, che chiamarono la città Heliopolis, così fecero. Allora volta, gli Egizi adottarono il luogo alle loro esigenze, che dedicarono Baalbek al culto dio Ra, divinità che aveva tratti comuni a Baal la divinità fenicia, in omaggio alla quale era sorto il luogo. Insomma, qualcuno quei tre monoliti da 800 tonnellate ciascuno li avrà sistemati. Il trilito fa parte del basamento del raffinato tempio di Mercurio. Il fatto ha suscitato molti interrogativi e indotto teorie più o meno fantasiose, rinvigorire dal ritrovamento, in una cava vicina al sito, di un monolite di circa 1000 tonnellate, sbozzato per tre lati, ma ancora non staccato del tutto.
L’importanza Baalbek/Heliopolis che Giove fu insignito dell’attributo elipolitiano. Del tempio Giove ci sono giunte 6 colonne delle 54 che circondavano il tempio, che misura 88×48 metri.
Di per sé, almeno in base alle conoscenze attuali, Baalbek non giustifica uno sforzo così ingente da parte di Roma, vero è che la Beqaa fu prezioso granaio per Roma, che qui si scambiavano merci provenienti dal Mediterraneo con quelle portate dai carovanieri dalle terre della Mesopotamia, ma ciò non è sufficiente a spiegare la profusione di ricchezza. Gli scavi proseguono.
Viaggiando lungo la valle della Beqaa si costeggiano campi lavorati, grandi distese di ortaggi e alberi da frutto. Nessuna sorpresa se la maggiore azienda viticola si trovi a Zahle, circa 40 km da Baalbek e 50 km da Beirut. Fondata nel 1857 Le Chateau Ksara è un’azienda moderna a vocazione internazionale. La coltivazione è pressoché biologica, i vigneti crescono nella Beqaa a un’altitudine media di 1000 sopra il livello del mare. La produzione, che ha ottenuto riconoscimenti internazionali di qualità, si compone di sette vini rossi, quattro bianchi, di cui uno dolce, e tre rosé. La gamma di prodotti è completato dal gradevole Arak, il liquore nazionale a base di anice e The Eau de vie, il distillato.
La visita all’azienda rivela una cantina straordinaria. Nel 1898 furono scoperte due chilometri di gallerie scavate nel sottosuolo, risalente all’epoca romana, questo non è solo un affascinante elemento coreografico, ma anche una fortuna opportunità per l’attività produttiva. Presso le Chateau Ksara si può vivere una bella giornata all’insegna del vino libanese tra le cantine, ristorante, degustazione e wineshop. (www.chateauksara.com)
Il Libano offre tante risposte ma ne apre infinite altre, sul nostro essere mediterranei, su ciò che accade, di cosa transitò e di quello che rimane al di là e al di qua delle sponde.
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In collaborazione con la Rotta dei Fenici
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Foto di Maria Luisa Bruschetini