Angkor, la suggestiva metropoli dell’antichità

Angkor Thom – L’enorme edificio si specchia sul lago davanti, creando un effetto magia difficile da imitare. Angkor Wat farà pure parte di uno dei siti archeologici più importanti del mondo, simbolo della Cambogia e dell’Asia stessa, ma è soprattutto un catalizzatore di emozioni.

Stupore e meraviglia sono le prime sensazioni che si provano, poi arriva una sorta di misticismo intriso di mistero. Impossibile restare impassibili davanti a tanta magnificenza. E pensare che per secoli l’intero sito, non solo il Tempio della città, questo vuol dire Angkor Wat in lingua khmer, furono inghiottiti dalla vegetazione.

Sarà questa combinazione di natura, che si è rimpossessata del luogo, e di laboriosità dell’uomo a rendere unica Angkor Thom, estesa cittadina proveniente dal passato remoto. E’ un intricato insieme di templi, strutture, palazzi, porte e ponti, che emergono dalla giungla e spesso sono complicati da ricordare, sia per i nomi sia per la similitudine, anche se ognuno di loro ha caratteristiche proprie: c’è la piramide dove si può salire fino alla cima attraverso pericolosi scalini, c’è la grande terrazza affacciata sulla strada principale, ci sono i templi-montagna alti cinque piani, c’è lo spiazzo sospeso sul lago.

Tanti, alcuni sono a livello di scavo archeologico, tutti con una storia da raccontare e un progetto ancora
da spiegare, tutti affascinanti. Ognuno è uno splendido capolavoro di artigianato, un prezioso esempio di un’epoca dove non esistevano sofisticate apparecchiature tecnologiche per modellare la pietra o il legno, ma dove qualsiasi cosa è frutto dell’abilità, della bravura e della creatività degli scalpellini, sconosciuti artisti che diedero il meglio di loro in queste opere tramandate ai posteri.

I quali oggi sono lì, a bocca spalancata, davanti alla meraviglie scolpite, agli enormi visi, alle scimmme, ai leoni, agli animali mitologici o ai piccoli dettagli dei bassorilievi nei corridoi di Angkor Wat.

La mente viene confusa dalle numerose ed elaborate rifiniture: per apprezzarle al meglio servono almeno tre giorni e non è detto che poi, al ritorno a casa, si sia capaci di ricollegare nella memoria quello che si è visto nel punto esatto dove si è notato.

Del resto, il parco archeologico ricopre circa 400 chilometri quadrati, inclusa la foresta, anche se l’anima dello spazio è proprio la concentrazione di edifici risalenti all’Impero Khmer, che andava dal IX secolo al XV secolo, una delle più grandi città del mondo del passato.

Patrimonio Mondiale dell’Unesco, tesoro architettonico e storico inestimabile, è visitata ogni giorno da
milioni di persone: per questo la vicina cittadina di Siem Reap, a sei chilometri, è diventata il fulcro ricettivo dei turisti con hotel, ristoranti, negozi. Da questo ex villaggio, ora moderno, si parte ogni mattina alla scoperta della metropoli dell’antichità. Tante le zone da ammirare e spesso Angkor Wat si lascia per ultimo, come ciliegina sulla torta.

Indimenticali sono i Naga, o serpenti mitologici, tutti in fila sul ponte che segna l’entrata ad Angkor Thom: considerati il punto di congiunzione tra il mondo degli dei e quello degli uomini, per questo sono messi in quella posizione come guardiani. Attraversando il ponte, si è accolti dal sito: dovunque uno si gira ci sono costruzioni, templi, pietre, torri, nell’elaborata architettura khmer.

Il cuore è senz’altro il Bayon, edificato nel XII secolo, con 54 torri ognuna decorata con quattro facce, un totale di 216 visi. Ancora è un mistero chi sia raffigurato: secondo alcuni studiosi si tratterebbe di Buddha, secondo altri del re Jayavarman VII, a cui si deve lo sviluppo di gran parte della città.

Tutta Angkor è intrisa si simbolismo, magico, spirituale e arcaico. Come con i dvarapala, i guardiani demoniaci, armati di lance, che sono raffigurati sia come statue di pietra che a rilievo sulle mura di templi, di solito all’ingresso o davanti a qualche passaggio obbligato: hanno una funzione protettiva. O come le danzatrici apsara,
divintà della mitologia indiana, molto usate dai Khmer anche come ninfe del paradiso e custodi di scene
sacre.

Da non perdere il Ta Prohm, entrato di prepotenza nell’immaginario collettivo perché usato in alcune scene del film “Tomb Raider” con Angelina Jolie. Qui la natura si è completamente riappropriata del tempio e la suggestione regna sovrana: sembra di essere entrati in un mondo contemplativo, dove le radici dei ficus giganti si sono fatti strada tra le pietre, i muri e le torri. Gli alberi fanno da insolito ornamento alle meraviglie dell’uomo, fornendo un’atmosfera alquanto seducente.

Memorabile è anche la Terrazza degli Elefanti che si allunga per più di trecento metri su un lato di quella che fu la Piazza Reale al centro di Angkor Thom: i possenti animali sono messi in parata sul basamento e da qui partono cinque grandi scalinate simmetriche, queste ornate da garuda, l’uccello mitologico, e teste di leone. La terrazza, probabilmente, serviva al re per osservare l’esercito riunito e per fare discorsi alla popolazione, ma anche per cerimonie religiose.

Da qui, oggi, si può partire alla scoperta di ogni singolo edificio rimasto dopo l’usura dei secoli, la vegetazione trionfante e alcuni terremoti che danneggiarono buona parte del sito. Alla fine non resta che ammirare l’imponenza del simbolo di questa metropoli antica, Angkor Wat, il tempio della città.

Appare in lontananza, specchiandosi nel lago antistante e piano piano che si procede lungo i giardini la meraviglia cresce. Entrando, poi, si ammirano i corridoi e le sale, tutti in ogni piccolo spazio fittamente decorati con scene di battaglia, animali, figure danzanti, fiori di loto.

Si sa che Angkor Wat fu fatto costruire dal re Suryavarman II intorno alla seconda decade del 1100, probabilmente come suo mausoleo funerario, dedicato a Vishnu. Il re ordinò che la costruzione partisse contemporaneamente dai quattro lati, così l’opera fu completata in meno di quaranta anni e fu subito un nuovo modello architettonico: unisce il tempio-montagna (rappresentazione del monte Meru, la dimora degli Dei nella mitologia induista, dove
i recinti sono le catene di montagne e il fossato è l’oceano) e le gallerie concentriche. Tra le tante
curiosità che racchiude, il fatto che qui sono raffigurate ben 1796 donne: ognuna diversa dall’altra, per posizione
del corpo o delle mani, per i vestiti, i capelli, i gioielli, per l’etnia. Non si sa che funzione avessero,
forse religiosa, oggi sono un mistero nel mistero di Angkor Wat e di questa città suggestiva.

Info: www.tourismcambodia.com
Foto di Sonia Anselmo

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